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giovedì 30 giugno 2016

Diventare simili a Dio

Post scritto da una monaca Carmelitana di Cerreto di Sorano.


Quando lasciamo entrare Dio nella vita, nasce in noi un insaziabile desiderio di Lui. Tutta l’esistenza diviene un’instancabile ricerca del suo volto, ci si sente costantemente sospinte verso l’unione con Lui e si avverte il bisogno di appartenergli esclusivamente. La sequela monastica ci inoltra in questo sentiero. Nel cammino intuiamo che unirsi a Dio significa lasciarsi trasformare da Lui per andare verso l’unione della nostra volontà con la Sua ma nel procedere constatiamo che ciò comporta assaporare il dolore delle necessarie purificazioni di tutto il nostro essere: volontà, intelligenza, memoria. Dice Teresa Benedetta della Croce (Edith Stein): “Quanto più Dio vuole unire a sé un anima tanto più sarà profonda e persistente la sua purificazione”. Il seducente appello alla comunione che Dio ci rivolge, se ci rivela il punto dove Egli ci vuole condurre: il nostro essere in Lui, non manca tuttavia di farci sentire tutta la lacerazione di ogni anfratto che ci lega all’io. La meta più che desiderabile, nel concreto delle nostre debolezze, si rivela alta e umanamente quasi irraggiungibile … Ci conforta  e ci sostiene la Parola: Tu, non temere, perché io sono con te; non ti smarrire, perché io sono il tuo Dio; io ti fortifico, io ti soccorro, io ti sostengo con la destra della mia giustizia (IS 43,10), ma ciò non toglie che, affinché questa Parola sia performativa, è necessario passare dallo svuotamento di tutto il nostro essere. Anzi se questa Parola può essere lirica per un cuore che l’accoglie, non si esime dal accendere in noi un fuoco interiore che mentre infiamma, brucia, consuma, purifica, fa male. Perché la libertà interiore si costruisce al prezzo di molte liberazioni: da idee prefabbricate, preconcetti, immagini di sé, pregiudizi… sentimenti e ricordi ingombranti, dalla confessione del proprio peccato, tutti frutti, come direbbe san Paolo ai Galati, dell’uomo carnale -Voi infatti, fratelli, siete stati chiamati a libertà. Purché questa libertà non divenga un pretesto per vivere secondo la carne, ma mediante la carità siate a servizio gli uni degli altri (Gal 5,13)- ossia dell’uomo che ancora non vive secondo lo Spirito volto cioè alla conformazione a Cristo.  Dice Giovanni della Croce in “Salita del Monte Carmelo: Per poter gustare il tutto, non cercare il gusto in nulla. Per poter conoscere il tutto, non voler sapere nulla. Per poter possedere il tutto, non voler possedere nulla. Per poter essere tutto, non voler essere nulla. Per giungere a ciò che ora non godi, devi passare per dove non godi. Per giungere a ciò che non sai, devi passare per dove non sai. Per giungere al possesso di ciò che non hai, devi passare per dove non hai. Per giungere a ciò che non sei, devi passare per dove non sei. Quando ti fermi su qualcosa, tralasci di slanciarti verso il tutto. Se vuoi giungere interamente al tutto, devi rinnegarti totalmente in tutto. E quando tu giunga ad avere il tutto, devi possederlo senza voler nulla. In questa nudità lo spirito, trova il suo riposo, perché non bramando nulla, nulla lo appesantisce nell’ascesa verso l’alto, nulla lo sospinge verso il basso, perché è nel centro della sua umiltà. Quando invece brama qualcosa,
proprio in essa si affatica". Il processo di purificazione si svolge senza gli aiuti delle nostre capacità ordinarie di pensare e valutare; esso supera le sottili deduzioni dei nostri saperi, delle nostre argomentazioni, delle, più o meno, abili arguzie della nostra dialettica. Questo processo si attua dentro il “buio “di una fede alimento per un’intelligenza aperta che si cimenta e si sforza di “comprendere senza comprendere”, che si lascia condurre all’abbandono di sicurezze “sapientemente” costruite, che si libera da ogni sufficienza, che si perde in cose che la superano: un’intelligenza purificata. Colui che fa la verità, viene alla Luce  (Gv 3,1-21) Sì, è un lento e faticoso aprirsi alla verità, un “Fiat” sempre più affidato a ciò che Lui è nell’intimo dell’essere. Dice ancora Giovanni della Croce : È sotto le tenebre della fede che l’anima si unisce a Dio.  Non è semplice spiegare quanto accade interiormente: quel che si comprende nella fede non sta dentro la gioia o il dolore avvertiti ma va molto oltre,  è come se si incominciasse a volere soltanto nell’amore. Entrano in campo attenzione e vigilanza, con un’umiltà coltivata momento per momento perché bisogna pur sempre, anzi più coscientemente, fare i conti con certi bisogni: legami, affetti, soddisfazioni, qualsiasi bene sensibile o anche spirituale di cui ci si accorge che la  nostra volontà si appropria senza stare nell’amore. Inavvertenze, debolezze non controllate e anche colpe volontarie… segnano il cammino ma con ferma fiducia nella fedeltà di Dio, ogni giorno rinnoviamo il nostro impegno a permanere nel Suo amore con un continuo e libero atto di adesione della nostra volontà alla sua, manifesta o implicita nelle circostanze solite o insolite che caratterizzano la giornata.  Di nuovo Giovanni della Croce afferma che: “Colui che  rifiuta di lasciarsi mortificare e spogliare della sua volontà non troverà per niente l’Amato”. Ed eccoci chiamate a purificare anche la nostra memoria. Un progressivo svuotamento di ricordi per stabilirsi nell’Unico Ricordo. Una graduale trasformazione in silenzio, una crescente liberazione da ogni immagine, fantasia, illusione, per unire tutta la memoria a Dio. Certo non è solo frutto di sforzo ma dono della Grazia: Il Signore attende di farmi grazia (Is 30,18). Il nostro compito dunque? Fare silenzio, fare vuoto, fare spazio, una memoria sempre più sobria non caricata di ciò che vediamo, sentiamo, immaginiamo o tocchiamo….libera per avvicinarsi a Dio: Avvicinatevi ed Egli si avvicinerà a voi (Gc 4,8). A suo tempo Dio farà sentire la sua azione in noi, quando lo vorrà e come lo vorrà… Da parte nostra: mai smettere di attendere.


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